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Museo del tesoro di San Gennaro

Questa è la storia di un tesoro che, gioiello dopo gioiello, è diventato il più prezioso del mondo.
Un tesoro che la Deputazione della Città di Napoli, secolo dopo secolo, ha conservato fino ai giorni nostri.
Una meraviglia da visitare solo nell’affascinante centro storico di Napoli.

Chi era San Gennaro?

Qual è la sua “storia”, la sua vicenda di “testimone” della fede? Il suo profilo biografico resta a noi sconosciuto, come per tanti “martyres inventi”, cioè “ritrovati” tra il IV e il V secolo. Anzi, intorno alla sua figura si sono accumulati numerosi dettagli che non reggono a una serena critica storica. Nel corso dei secoli leggende popolari e improbabili ricostruzioni storiche si sono affastellate creando confusione, ma soprattutto trasformando San Gennaro in un immeritato fatto folkloristico.

Tuttavia la recente ricerca agiografica ha individuato alcuni elementi certi dell’identità storica e spirituale del Martire. La più antica “Passione di San Gennaro”, gli Acta bononiensia (sec. VI), lo presenta come un vescovo di Benevento martirizzato sotto Diocleziano intorno al 300 d.C. Secondo questo scritto, durante le persecuzioni cristiane  Gennaro  si recò insieme nell’antica città di Miseno vicino a Pozzuoli, per dare conforto al giovane diacono Sossio imprigionato perché cristiano, insieme al diacono Festo e il lettore Desiderio ma furono anche loro arrestati per lo stesso reato.

Chiesa Museo di Santa Luciella ai Librai

 

La Chiesa di Santa Luciella ai Librai fu fondata da Bartolomeo Di Capua nel 1327 e divenne successivamente luogo di culto per la Corporazione dei Pipernieri, Fabbricatori e Tagliamonti.

La piccola chiesa di Santa Luciella, gioiello architettonico nel cuore del centro storico del capoluogo partenopeo, custodisce una leggenda che si tramanda da secoli: quella del teschio con le orecchie.

Nell’ipogeo della chiesa è situato un raro esemplare di cranio con cartilagini mummificate, ribattezzato come il “teschio con le orecchie”. I fedeli erano soliti rivolgere le proprie preghiere alla reliquia, nella speranza che, udendole, potesse inviarle a chi di dovere nell’aldilà.
L’usanza è legata al culto delle anime pezzentelle: l’anima anonima che invoca il refrisco, ovvero l’alleviamento dalla pena.
Ad oggi l’identità dell’uomo è ancora sconosciuta e avvolta in un mitico alone di mistero.
L’unica certezza riguarda le sue origini: secondo gli studiosi, il cranio risale al Seicento.

Teatro San Carlo

“Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro,
ma ne dia la più pallida idea..”

[Stendhal, 1817]

Affacciato su piazza Trieste e Trento, e quindi raggiungibile a piedi da entrambe le nostre strutture, è uno fra i maggiori teatri lirici d’Europa.Fondato nel 1793 per volere di Carlo Di Borbone, ospita fino a tremilatrecento spettatori.
Dall’ottobre 2011 ospita il MEMUS (acronimo di “memoria” e “museo”), museo storico nel quale si espongono opere d’arte (quadri, fotografie, strumenti musicali, costumi, documenti d’epoca, un archivio musicale audio ed anche una delle immagini video) che ripercorrono la storia del san Carlo stesso e dell’opera italiana.
Il museo inizia con il percorso storico  nell’adiacente residenza reale, dalla quale si accede al teatro, visitando storici ambienti non visibili né se si accede al palazzo reale, né al san Carlo come spettatore.http://www.teatrosancarlo.it/

Museo Cappella San Severo

Posto al centro della navata della Cappella Sansevero, il Cristo velato è una delle opere più note e suggestive al mondo. Nelle intenzioni del committente, la statua doveva essere eseguita da Antonio Corradini, che per il principe aveva già scolpito la Pudicizia. Tuttavia, Corradini morì nel 1752 e fece in tempo a terminare solo un bozzetto in terracotta del Cristo, oggi conservato al Museo di San Martino.

Fu così che Raimondo di Sangro incaricò un giovane artista napoletano, Giuseppe Sanmartino, di realizzare “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”.Sanmartino tenne poco conto del precedente bozzetto dello scultore veneto. Come nella Pudicizia, anche nel Cristo velato l’originale messaggio stilistico è nel velo, ma i palpiti e i sentimenti tardo-barocchi di Sanmartino imprimono al sudario un movimento e una significazione molto distanti dai canoni corradiniani. La moderna sensibilità dell’artista scolpisce, scarnifica il corpo senza vita, che le morbide coltri raccolgono misericordiosamente, sul quale i tormentati, convulsi ritmi delle pieghe del velo incidono una sofferenza profonda, quasi che la pietosa copertura rendesse ancor più nude ed esposte le povere membra, ancor più inesorabili e precise le linee del corpo martoriato.

La vena gonfia e ancora palpitante sulla fronte, le trafitture dei chiodi sui piedi e sulle mani sottili, il costato scavato e rilassato finalmente nella morte liberatrice sono il segno di una ricerca intensa che non dà spazio a preziosismi o a canoni di scuola, anche quando lo scultore “ricama” minuziosamente i bordi del sudario o si sofferma sugli strumenti della Passione posti ai piedi del Cristo. L’arte di Sanmartino si risolve qui in un’evocazione drammatica, che fa della sofferenza del Cristo il simbolo del destino e del riscatto dell’intera umanità.